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tribumondo: un antico ideale per un nuovo assetto mondiale

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002_ LO SPORTELLO DEL CHINOTAMO

 

(tempo di lettura 12 minuti circa)

 

Molti miei lettori non capiscono il perché della mia ossessiva insistenza nel riportare i significati delle parole e poi nell’analizzarli pedantemente, per cui ne sono anche infastiditi quando non irritati; spero che nel prosieguo, i perché risultino più chiari e ne sia anche riconosciuta la neccessarietà*. 

 

Di che sportello si tratta?

 

Nei luoghi nei quali si attribuisce una grande importanza all’ordine, o forse solo quella dovuta,  vi sono cartelli recanti la sollecitazione “un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto”, ma perché?

 

L’ovvio perché è che quando ogni cosa è al suo posto, nel momento in cui una data cosa occorre non si perde tempo a scoprire dov’è, perché lo si sa già; ma per poter mettere ogni cosa al suo posto è indispensabile che ogni cosa abbia un suo posto, ergo bisogna reperirlo ed assegnarglielo.

 

Parafrasando la sollecitazione del cartello si potrebbe scridire* “un nome per ogni cosa e ad ogni cosa il suo nome”, ed il vantaggio sarebbe che quando si dice una parola si saprebbe inequivocabilmente che cosa intendere.

 

La parola sportello ha due significati, per cui si rende necessario specificare quello da intendere qui, che è “Negli uffici destinati a servizi pubblici, ciascuno dei vani o degli spazi attraverso i quali il personale comunica col pubblico.” 

 

Che cos’è o chi è il chinotamo?

 

La parola chinotamo è un neologismo di mia invenzione, perché una parola con lo stesso significato o non esiste o io non la conosco, ma io propendo per la prima ipotesi.

 

L’articolo 53 della nostra Costituzione decreta che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. . .”, ma chi sono Tutti?

 

Come spero risulti evidente, alla parola Tutti si può tanto più dare il significato che si vuole quanto più si vuole cavillare, ossia “Cercare cavilli, sottilizzare eccessivamente nell'interpretazione delle parole altrui o delle leggi; ma qual è lo scopo di chi cavilla?

 

Com’è risaputo, lo scopo di chi cavilla è di sottrarsi ad un eventuale obbligo o accampare un’eventuale spettanza*.

 

La Costituzione è definita la legge fondamentale dello Stato, quindi la più importante; e nella legge più importante di tutte, esprimersi in modo così impreciso, ergo approssimativo, quanto è appropriato?

 

Qualcuno potrebbe obiettare che la specificazione dettagliata di coloro che sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche è poi fatta in altre leggi, ed io riconosco che è vero, ma inventare una parola apposita era poi così difficile, o addirittura impossibile?

 

Contribuire alle spese pubbliche, ancorché nel modo in cui viene fatto, ovviamente tralasciando l’evasione e l’elusione fiscale, assomiglia molto a quello che fanno i gruppi di amici quando vogliono condividere delle spese comuni, ed ancor più se vogliono beneficiare qualcuno di loro meno abbiente.

 

Nei casi di cui sopra, la “cosa” viene chiamata cassa comune.

 

Differentemente dagli autori della nostra Costituzione che, evidentemente affetti da bradismo*, se ne sono fregati, io, quando ravviso la necessità, o anche solo l’opportunità di una parola, provo ad inventarla, cercando prima di ricavarla da quelle attuali, poi dal latino, poi dal greco, poi da idiomi* stranieri e persino dai dialetti, ma sempre italianizzandole, ossia rendendole conformi alle nostre regole grammaticali.

 

In greco, l'equivalente di cassa comune è koinó tameío, da cui ho ricavato chinotamia; chinotamo, dunque, è chiunque partecipa alla chinotamia come contribuente, come fruitore o entrambe le cose.

 

Un’altra critica che i miei lettori mi fanno è che sono prolisso; ma a causa dell’equivocità delle parole che abbiamo, come p.e. sportello, e di quelle che non abbiamo, come p.e. chinotamo, per spiegare di che cosa si tratta in questo brano sono occorse 548 parole, e non è certo finita qui!  

 

L’articolo 1 della nostra Costituzione proclama che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione.

 

La parola sovranità deriva da SOVRANO che, come spiega il vocabolario, è il modo in cui viene chiamato “il capo di uno stato retto a monarchia.”; e dunque, in una Repubblica, il sovrano che ci azzecca?

 

Naturalmente, anche questa incongruità, valutata e giudicata a sé stante, pare una cosa di poco conto, ma intanto, sommata alle due precedenti, siamo già a tre, e non abbiamo ancora finito!

 

Infatti, sempre l’art. 1 della Costituzione, afferma che la Repubblica è democratica.

 

La parola DEMOCRAZIA è di origine greca, ed è il risultato dell’unione delle parole démos, che significa popolo, e krátos che  significa sia potere sia comando.

 

Il popolo quindi, non detiene la sovranità, ma bensì comanda, o quantomeno dovrebbe farlo; ma lo fa? E come lo fa? Ma prima ancora, il popolo chi è? Che cosa è?

 

 Se si cerca il significato della parola POPOLO si scopre che essa ne ha più di uno, ed il secondo è “Collettivamente, i sudditi di uno Stato.”; e dunque, il popolo è il sovrano o è l’insieme dei sudditi?

 

E siamo a quattro incongruenze; ma comunque, il popolo comanda?

 

Com’è risaputo, il comando di noi popolo, alias sovranità, risiede nel partecipare alle consultazioni ogni volta che ci viene chiesto di farlo, ma non per esprimere il nostro pensiero, bensì per scegliere tra quello che passa il convento, ossia quello che propongono i partiti.

 

E siamo a 5 incongruenze!

 

Secondo Wikipedia, alle elezioni regionali della Lombardia del 12 e 13/02/2023, ha partecipato meramente* il 41,67% degli inscribiti*, con un calo del 31,43% rispetto alle precedenti; e questa è ancora democrazia?

 

E siamo a sei incongruenze! Ma il calo, a cosa è da attribuire?

 

Le cause presumibili sono sostanzialmente tre: O gli elettori non si sentono più rappresentati; o avevano di meglio da fare; o della democrazia se ne fottono proprio! Ma di questo, i nostri uomini partitici, e soprattutto le cosiddette cariche istituzionali importanti, quanto si preoccupano?

 

Per quello che mi risulta, di questo, che in una democrazia dovrebbe essere un problema serio, i soggetti di cui sopra se ne fottono bellamente; e siamo alla settima incongruenza!

 

Ma se le cose stanno così, se il popolo vuole far sentire la propria voce come può fare?

 

L’art. 50 della nostra Costituzione prevede che “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.”; ma se un cittadino non ha un lavoro, o non riesce ad vere le cure eo* l’assistenza di cui ha bisogno che fa, scrive la petizione?

 

E nel tempo che intercorre tra lo scrivere la petizione e l’arrivo di un’eventuale risposta  quante volte muore?

 

L’art. 71, invece, prevede che “. . Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”, ma questa via è ancor più impervia della prima!

 

Nella pagina tribumondo e nella pagina APA spiego che il mio ideale utopistico è la Confederazione Mondiale delle Tribù, dove per tribù intendo i comuni e le circoscrizioni delle grandi città, ed uno dei motivi di questo assetto* è di annullare la cosiddetta distanza tra i cittadini ed i palazzi del potere.

 

Come ho ammesso, si tratta di un’utopia, quindi di una cosa difficile da realizzare, o proprio irrealizzabile, ma l’aspetto importante delle utopie è che il loro destino non è di essere realizzate, men che meno in tempi brevi, ma di essere perseguite facendo man mano quello che è fattibile.

 

Lo sportello del chinotamo vuole essere un primo modo di consentire non solo ai cittadini, ossia ai polidi*, ma a tutti i chinotami, ovvero a tutti coloro a cui lo Stato riconosce la spettanza* di fruire dei servizi civici*, di presentare le loro istanze alle istituzioni, nella fattispecie ai comuni o alle circoscrizioni, in modo formale, alias ufficiale, e di ricevere da esse, cioè dalle istituzioni, alias i comuni e le circoscrizioni, delle risposte altrettanto formali, così che alla fine risulti chiaro che cosa i chinotami hanno chiesto; se e quanto, le loro richieste sono state classificate come strampalate, e quindi respinte; oppure sono state classificate come legittime e ragionevoli, e quindi accolte; se e come le istituzioni hanno risposto a tali richieste.

 

Quanto sopra, nel tempo, dovrebbe consentire di avere un quadro viavia* più preciso di se e quanto è vero che il popolo comanda (la democrazia), e quindi anche di se e quanto è vero che le istituzioni sono al servizio del popolo.

 

Quanto sopra, inoltre, dovrebbe anche consentire al popolo di rendersi conto che le cose  hanno prima di tutto un costo, che bisogna quindi essere in grado di sostenere, per cui bisogna pagare le tasse; e poi prospettano delle difficiltà di attuazione pratica, per cui bisogna imparare prima a fare le cose bene, e poi a farne buon uso.

 

Al fine di realizzare quanto sopra gli sportelli del chinotamo dovranno essere sia reali, cioè raggiungibili di persona, sia virtuali, e quindi contattabili per via informatica.

 

Ogni sportello dovrà essere strutturato in modo da poter rispondere ad ogni istanza, o in proprio o rinviando la questione a chi di pertinenza*; e deve farlo in tempi ragionevoli, a cominciare col precisare per iscritto la loro entità

 

Infine, in ossequio al principio di responsabilità (vedi pagina La Rivoluzione Lenta § LA RESPONSABILIZZAZIONE), ogni sportello dovrà fare capo ad un responsabile del suo buon funzionamento, soggetto a sanzioni in caso di inadempienza, cosa che rende necessaria la preventiva elaborazione di un opportuno regolamento, argomento questo che non è opportuno approfondire qui.

 

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