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L’ERRORE

 

(tempo di lettura 6 min)

 

Il proverbio dei proverbi afferma che “i proverbi sono la saggezza dei popoli”; ma per me, che sono un pistino rompiscatole, più che la saggezza, o oltre che la saggezza dei popoli, i proverbi sono anche lo specchio della loro sconclusionatezza; i proverbi, infatti, in moltissimi casi si contraddicono; ed affermare sia una cosa e sia il suo esatto inverso quanto è saggio e quanto, invece, è sconclusionato?

 

Un proverbio proclama che “solo chi non fa non sbaglia”, e non è l’unico ad affermare questo concetto; un altro, invece, afferma che “errare è umano ma perseverare è diabolico”; ma se errare è umano, quel perseverare come va interpretato? Come commissione di errori sempre diversi, o come ripetizione dello stesso errore?

 

A mio parere, l’autore avrebbe dovuto essere molto più preciso, ergo accurato, in modo che il proverbio non fosse soggetto ad interpretazioni; ma visto che così non è, la mia interpretazione è che quanto più è vero che chi fa sbaglia,  tanto più, con perseverare, si deve intendere la ripetizione dello stesso errore; ma siamo certi che quelli successivi al primo, siano ancora classificabili come errori?

 

Per il vocabolario l’ERRORE, nel senso qui inteso, è “L'abbandono della verità (logica o etica) o della convenienza, provocato da un fraintendimento o travisamento di valori.”

 

L’ovvio scopo dei vocabolari è quello di spiegare i significati delle parole a coloro che ancora non li sanno, ed i motivi per cui alcune persone possono non conoscere il significato delle parole, ancorché di quelle di uso più comune sono: la giovane età, e quindi l’ancora scarsa istruzione; o la scarsa intelligenza; oppure entrambe le cose in diverso dosaggio.

 

In conseguenza di quanto sopra; quanto più il vocabolario vuole essere all’altezza del suo compito; tanto più deve sforzarsi di utilizzare il parolaggio* più elementare possibile, cosa che per degli esperti di parole non dovrebbe essere difficile, bensì “un gioco da ragazzi”.

 

Se la definizione di errore avessi dovuto scriverla io essa sarebbe “Azione non voluta, che produce un risultato diverso da quello atteso.”; l’errore, infatti, per essere tale, deve per forza essere non voluto; perché se è voluto, invece che di errore, si tratta di atto intenzionale.

 

A fronte di quanto sopra, tra la definizione del vocabolario e la mia, quale vi pare la più semplice e più rispondente a ciò che la cosa è veramente?

 

E se pensate che sia la mia, non trovate quantomeno strano il fatto che la definizione di un vecchio elettricista in pensione sia migliore di quella dei vocabolaristi di professione?

 

Sulla base della mia definizione, ma anche di ciò che la cosa è veramente, l’errore, quando è tale, è un imprevisto, e gli imprevisti, come si sa, possono essere anche positivi; tuttavia, se nel caso degli imprevisti, le probabilità che siano positivi, sono statisticamente limitate; nel caso degli errori, lo sono ancor di più, e questo è il perché, non potendo sapere in anticipo quali errori si commetteranno, né quali saranno le conseguenze, né su chi ricadranno, la cosa più saggia, o quantomeno più prudente, è fare tutto quanto è ragionevolmente possibile per non commetterli; ma perché, secondo il proverbio, perseverare nel commettere quello che, avendolo già commesso, non è più un errore, è diabolico?

 

Il significato di DIABOLICO è “Improntato a incredibile malvagità, quasi suggerito o ispirato direttamente dal diavolo, degno del diavolo.

 

Come spero di aver dimostrato, gli errori sono degli imprevisti che chiamiamo errori proprio perché producono degli effetti negativi, quindi dei malefici.

 

Com’è evidente, quanto più si sa che una data azione produce dei malefici, e quanto più la si compie ugualmente, tanto più si, a seconda dei casi, si è:

  • Dei deficienti, nel senso che non ci si rende conto di ciò che si fa;
  • Dei masochisti, nel caso che i malefici ricado solo su di se;
  • Oppure dei malvagi, tanto più quanto più i malefici ricadono anche sugli o solo sugli altri.

 

Come spero di aver argomentato un po’ in tutti i brani precedenti, ma anche come di riservo di fare in tutti i miei scritti, ogni volta che si rende necessario o anche solo opportuno farlo, continuare ad utilizzare parole sconclusionate, ossia il cui significato non corrisponde a ciò che la cosa è veramente, ha come effetto il fuorviamento, di coloro che le prendono per buone, ed il significato di FUORVIANTE è “Che allontana e distrae dal vero, che induce in errore, che mette fuori strada.”

 

In altre parole, fuorviare è indurre in errore, le cui conseguenze non sono prevedibili, per cui possono essere anche molto gravi.

 

A fronte di quanto sopra, tanto per rispetto degli altri quanto per amore di me stesso, indurre gli altri in errore è una cosa che non voglio assolutamente fare, quantomeno non consapevolmente, ossia sapendolo in anticipo, perché come presumo di aver argomentato sarebbe diabolico, alias malvagio; e questo è il perché, con riferimento alla nostra convivenza civica, parole come società, socialità, politica, democrazia, economia, ma anche lingua nel senso di quella parlata, nonché tante altre, non riesco più ad utilizzarle, ed in loro vece uso parole come civicità*, eteria*, partitica*, aritmocrazia*, patrimonia*, idioma, e questo è sia il PERCHÉ DEGLI ASTERISCHI che ho già spiegato, sia IL PERCHÉ DELLA mia STRANEZZA, che spero vi risulti ora un po’ meno strana.

 

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