I PERCHÉ DEGLI ASTERISCHI
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Quello di scrivere di questi argomenti è un desiderio che covavo fin dagli anni giovanili, ed a farmelo venire era il notare come, le persone che si lamentavano con le quali interloquivo, non si rendevano conto che la principale causa dei problemi di cui si lamentavano erano essi stessi, ed uno dei motivi per cui lo erano era che non si rendevano conto che ciò che credevano essere una cosa, in realtà non era ciò che credevano ma era un’altra cosa; insomma, avevano nella testa una cognizione della realtà molto approssimativa ed anche parecchio sconclusionata.
A questo punto, la domanda che potrebbe, anzi che dovrebbe, sorgere spontanea a chi sta leggendo è: Come facevo io a stabilire che gli sconclusionati erano loro e non io?
La domanda è estremamente pertinente, e la risposta è che molte di quelle persone erano dei miei colleghi di lavoro ed io, detto senza falsa modestia, ero più bravo di loro; ma questo cosa c’entra con la sconclusionatezza?
Il mio lavoro era fare l’elettricista, e quindi avere a che fare con l’elettrotecnica, che è una branca della fisica.
Come ben sappiamo, diversamente da noi gente*, che reagiamo agli stimoli in modo variamente emotivo, e quindi in modo illogico ed irrazionale, la Natura è assolutamente ottusa, quindi esente da emozioni, per cui ad ogni azione risponde con una reazione assolutamente consequenziale e proporzionale.
La mia bravura nel lavoro, quindi, scaturiva dall’essere particolarmente a mio agio nell’interagire con Madre Natura, derivante dal mio essere metodico ed obiettivo, alias oggettivo.
Non so se e quanto troviate queste argomentazioni convincenti, ma queste sono, e comunque, se e quanto sono logico e razionale lo avrete già capito abbondantemente leggendo quello che scrivo.
Per tornare al perché degli asterischi, nel momento in cui ho finalmente potuto dedicarmi alla scrittura ho scoperto che quanto più volevo essere meticoloso ed accurato nei ragionamenti tanto più, la prima difficoltà in cui mi imbattevo, era l’inappropriatezza, quando non sconclusionatezza delle parole, ma anche la mancanza, o presunta tale, di parole per intendere alcune cose, e la conseguente necessità di descriverle, a scapito della scorrevolezza e della comprensibilità del discorso.
Il motivo di quel o presunta tale è dovuto al fatto che mentre cercare i significati a partire dalle parole è una cosa tanto più semplice quanto più si opera in ambiente informatico, fare l’inverso, cioè scoprire il modo in cui si chiamano le cose a partire da ciò che esse sono, è un problema ancora tutto da risolvere, forse perché nessuno se ne è ancora interessato; conseguentemente, nel momento in cui mi occorre una parola che non ho, non so se non ce l’ho perché non esiste o perché sono io che non la so.
A fronte di quanto sopra, quanto più ne ravviso la necessità, tanto più, in assenza vera o presunta di parole già esistenti, non esito ad inventarle, confidando nel fatto che quand’anche un isonimo* esiste già, averne uno più non solo non fa male ma è persino utile.
L’invenzione di parole nuove, però, comporta di notificarne il significato a chi non lo conosce, e per non infarcire il testo di note esplicative tra parentesi o a piè pagina, ho pensato di contrassegnare le parole con un asterisco, per indicare che i loro significati sono spiegati nel Glossario (vedi pagina).